cyop&kaf hanno già operato per l’Università, in occasione del settecentenario della morte di Dante, quando tra il 2021 e il 2022 sono state esposte, in una mostra intitolata Durante, allestita tra il Dipartimento di Studi Umanistici (a via Porta di Massa) e il Complesso monumentale di San Domenico Maggiore, le tavole ispirate alla Commedia dantesca (quaranta per l’Inferno e due composizioni di tavole, di m 4×2,10 per il Purgatorio e di m 2,8×3 per il Paradiso).
Ora, per l’opera degli ottocento anni dell’Ateneo fridericiano, la fonte d’ispirazione è il trattato De Arte venandi cum avibus (L’arte di cacciare con gli uccelli), redatto dallo stesso imperatore svevo Federico II intorno al 1240, dedicato alla pratica venatoria e di falconeria (due libri a Roma, Vienna, Parigi, Ginevra e Stoccarda; una versione in sei libri a Bologna, Parigi, Nantes, Valencia, Rennes, e Oxford).
Sono venti tavole su supporto ligneo di cm 60×80 che traggono linfa dalle miniature presenti nei manoscritti. Come è accaduto per le immagini liberamente ispirate alla Commedia dantesca, anche in questo caso tutto ruota intorno al momento in cui i due artisti hanno incontrato la fonte, i manoscritti fridericiani dove vengono addestrati alla caccia gli uccelli rapaci. Con una tecnica a collage di frammenti di carta policroma, strappati grossolanamente, cyop&kaf hanno realizzato composizioni di grande bellezza e leggerezza, ma anche di grande intensità, contrassegnate dalla sintesi del segno e della forma, con quella stilizzazione ‘fumetto’ che fa tornare alla memoria le visioni inscenate dagli spettacoli di marionette e burattini. Sono creazioni del tutto personali alle quali le miniature medievali hanno fornito soltanto lo spunto, realizzate in un rapporto di assoluta libertà col manoscritto. Nel caso, un particolare dettaglio relegato in secondo piano in una miniatura, diviene elemento principale, ingrandito, in una loro composizione; è un’operazione – mi dicono – molto stimolante per loro, che cresce minuto dopo minuto, in totale condivisione.
Non partono da alcun progetto o bozzetto. La cosa più interessante è che lo strappo suggerisce la forma, e non viceversa. Dagli strappi escono le immagini, e quindi è lo strappo a condurre il gioco. Entrambi, nel loro consueto modo di procedere, non hanno idea di quello che sarà alla fine la composizione, poiché tutto è immediato e istintivo. Il viaggio è dunque l’opera.
È il loro modus operandi che applicano sempre, anche quando lavorano sui muri della città.
I colori usati sono quelli che li rappresentano. Sono gli stessi dei disegni disseminati per le strade, sui portoni, negli angoli bui di alcune zone di Napoli, principalmente tra i Quartieri Spagnoli, corso Vittorio Emanuele e via Salvator Rosa. Sono i colori che li identificano e li rendono distinguibili, colori primari con l’aggiunta di qualche tono sfumato, ora utilizzato per avvicinarsi alle tavole consumate del manoscritto.
Testo di Isabella Valente